La Terra di S. Benedetto aveva una superficie di 80.000 ettari e comprendeva quelli che sono i territori degli attuali comuni di Acquafondata, Ausonia, Belmonte Castello, Suio, Castelnuovo Parano, Coreno Ausonio, Cassino, Cervaro, Piedimonte S. Germano, Pignataro Interamna, Pontecorvo, Roccadevandro, S. Giorgio a Liri, S. Andrea Vallefredda, S. Apollinare, S. Biagio Saracinisco, S. Ambrogio sul Garigliano, S. Elia Fiumerapido, S. Vittore del Lazio, S. Pietro Infine, Vallemaio, Vallerotonda, Villa S. Lucia, Viticuso, parte dei territori di Terelle, Esperia (S. Pietro in Curulis, Monticelli) di Sessa, di Minturno, lungo il corso del Garigliano, fino al mare, L’abate di Montecassino era ormai il più grande feudatario del centro sud. Tuttavia l’Abbazia non creò mai feudatari alle proprie dipendenze, per ragioni di opportunità, ma anche perché, grazie ad una forma di governo illuminata, ciò che in altre parti veniva conquistato con la forza qui si ebbe per la lungimiranza culturale degli abati.
All’abate, come “signore” feudale, competevano anche le giurisdizioni temporali, come l’amministrazione della giustizia, civile, fino al 1807, e criminale fino alla revoca operata da Carlo d’Angiò e ripresa solo nel 1669. A tale scopo egli nominava ogni anno un governatore che emetteva sentenze per conto dell’abate.
L’opera di gestione equilibrata del territorio si svolse soprattutto con strumenti giuridici, codificati tramite notai, grazie ai quali il popolo aveva consapevolezza piena dei propri diritti e dei propri doveri.
Tali strumenti furono norme giuridiche che garantivano i diritti essenziali della persona, i rapporti di carattere amministrativo, pubblico e privato.
Questa attività normativa fu molto intensa presso gli abati di Montecassino, soprattutto nel XIII secolo, assumendo forme di privilegi o “chartae libertatis”, statuti, decreti, inquisizioni, sentenze.